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Stasera come una puttana

Stasera come una puttana Vado, come se questa notte fosse uno dei tanti buchi di culo, dove gli uomini darebbero l’anima per entrare, dove sognano di passarci i loro momenti più belli, sapendo già che incontreranno soltanto escrementi, avanzi di mondo stipati e compressi. Vado, senza qualcuno che mi dica di andare, cercando i buchi più asciutti, dove l’acqua piovana si snoda e si sbroglia, in tanti rigagnoli e si ferma sull’orlo. Vado, sospinto da questo fascio di luna che odio, ma vado lo stesso, per sentirmi i vestiti intrisi d’odore, per sporcarmi le suole nelle pieghe dei ventri, dove marciscono flebili sentimenti accennati. Perché dove vado non c’è amore, non c’è una al balcone che innaffia i fiori e mi offre una rosa, non c’è legge e misura, ragione e governo, ma vado e sfido questa carne in astinenza, dove mai una poliziotta userebbe accortezze, parole cortesi per chiamarmi signore. Vado per essere io stesso in cerca di un buco di notte, un misero buco da riempire di sogni, spalancando questi occhi secchi incapaci, di piangere e sgravare deliri più sani, di quanti ne trattengo in mezzo alle gambe. Se solo questa notte fosse capace! Vorrei essere un ricovero di voglie, che ammansisco prima che venga luce, prima d’ogni alba, unica a ridarmi misura e contegno, unica a partorirmi pensieri decenti. Vado, senza che qualcuno sappia dove vado, senza documenti e denaro, senza padrona per le mie idee che mi smaniano dentro, che s’aggrumano e formano voragini vuote, embolie e dirupi nelle mie vene indurite. Se dovessi morire ora, sarei soltanto un cadavere senza nome e cognome, come una prostituta di cronaca coperta di bianco. Se dovessi morire! Chissà se un medico mi toccherebbe il polso, un prete la fronte per segnarmi la croce, o finirei senza tanti complimenti dentro un sacco di plastica nero, dentro un buio più nero che direbbero se l’è solo cercata! Vado e scompaio nel buio di una notte di questa città anonima, così svenevole che mi chiama d’andare, così puttana che s’infila due dita, per convincermi che se solo volessi, basterebbe davvero soltanto emularla. Ma allora perché non la imito? Perché rimango attaccato a questi ricordi, che sono l’unica ragione perché valga la pena d’andare, di sfidare il buon senso che mi vorrebbe di sera, seduto davanti una tavola apparecchiata d’avanzi. Mi pesa la pena che sento, m’appesantisce le mani e le gambe, ma cammino seppure a fatica, incontro a questi pezzi di destino più duri, che granitici apposta mi sbarrano la strada. Li scalcio e li scavalco come se fossero sassi, come se non mi curassi di loro, perché stanotte ho altro da fare! Sarà questo suono di passi, di tacchi contro l’asfalto, saranno questi occhi notturni d’avide fighe, che mi fanno sentire già preda, e mi fanno chiedere perché vado, nudo e straniero con l’anima in mano, con l’anima persa in mezzo alle cosce. Ma davvero mi sono ridotto a cercarmi più bello dentro questi occhi? Questi sguardi che mi considerano bello, per quanto sia gonfio il mio presente, che comunque ostento che comunque mostro, a chiunque ne faccia calamita ed incetta, senza chiedersi di quanto di vero sia imbottito. Sarà questo cuore malato che pompa senza nessuna cadenza, ma io mi sento come se questi luoghi, senza regola e decoro, fossero stati da sempre il mio unico posto, la mia unica pancia che riconoscerei nonostante i trent’anni passati. Era bello mio padre! Più bello di quanto io ne possa portare il ricordo, più attraente di questo stupido uomo che ora sorreggo su queste gambe stanche di camminare. Rovisto tra i ricordi per rubarle un sorriso, quel lago tranquillo prima che il male, l’abbia ridotto ad un accenno di labbra. Mi basterebbe solo quello per non essere goffo, mi basterebbe davvero perché per il resto mi chiedo, come ha potuto il suo nonostante povero di cultura e di sapienza riprodurmi assennato, come tanta bellezza generare una maschera, che trucco e ritrucco per nascondere l’ultimo istinto, che possa perlomeno apparire sincero. Sapesse dove ora consumo i suoi sudori, dove sperpero le sue grida di un pomeriggio d’Aprile e di neve! Mi ritrovo qui senza nessuna ragione, in faccia a queste donne che godranno per sentirsi più vere, fino a toccarmi il dolore per sentirsi più femmine. Mi vorrebbero per il solo gusto di sporcarmi di dentro, trattenendosi al culmine per non provare piacere, perché si vergognano, perché convinti che solo un corpo di femmina, grida e lo prova come sopporta il dolore. M’infilo dove il tempo ha smesso di contare, dove ogni notte è una notte da secoli intatta, si sente un vociare di prezzi al ribasso, di prestazioni ridotte perché il fine è trovare un contatto, sentirsi entrambi appagati di soldi e di sesso, rimanendo anonimi guardandosi in faccia. Le vedo ed imparo, si mostrano in tante e si sentono uniche, orgogliose di una fila che vuole, che chiede, che brama e pretende, quella più bella che si nega e s’invita. Ma in mezzo a tante stelle la più luminosa, potrebbe essere coperta di nero, potrebbe avere i capelli raccolti come un fascio di spine di grano. Potrebbe avere un neo sullo zigomo destro, che d’estate s’arrossa quando guarda il mare, e magari indossare delle mutande di rete, dove cattura e trattiene solo pesci più grandi. Più la vedo e più m’assomiglia! Ma allora cosa ci faccio dall’altra parte del marciapiede? Cosa ci provo a battere per finta, a fingere di passeggiare come se lo facessi anche io per mestiere? Mi sento diverso e me ne approprio la ragione, di una donna che si sfama di nulla, perché solo il sogno la nutre. Ho messo ciò di più nero che può confondermi al buio, perché sono io la notte, sono io le ore che allungate mi passano accanto, mi passano in fila mansuete come cani randagi. Sono io questi odori acidi di voglie, questi residui indelebili di piacere, che liquidi e scomposti non hanno più padroni. E sono loro che mi chiedono un prezzo per un bacio che non hanno mai ricevuto, dove chi le paga non sanno dove mettere la lingua per farle godere, mi chiedono un prezzo che non so ricambiare, ma conciato così è difficile fargli capire, che non l’ho mai fatto per soldi, ma soprattutto a chi come loro lo fa per soldi. Mi è impossibile fargli capire, che davanti a questo distributore aspetto solo che passi il tempo, ma poi mi ritraggo perché cerco soltanto un brivido, che mi scaldi la parte del cuore, dove metto al mondo i miei pensieri migliori. Difficile dirgli che non c’è professione dentro queste mie gambe, non c’è mestiere tra queste mie labbra insolenti, e che la mia lingua è solo piacere gratis ma che probabilmente le mie labbra carnose fanno solo credere a torto ad un andirivieni, come un bagnasciuga affollato in un giorno d’agosto. Vorrei dirgli, se mi lasciassero il tempo, che avevo una moglie che questa luna idiota m’ha ingannata per anni, che non si tratta di prezzo e davvero non son qui per soldi! Ma sorridono ed abbassano lo sguardo, come se fosse insufficiente quello che offro, come se fossero ridicoli questi occhi che le seguono fuori luogo, queste scarpe che battono controtempo e non mi fanno figura. Mi fermo e mi tolgo la giacca, ma è solo una sensazione, perché nessuno può vedere che ora sono nudo, che sarei pronto a chi stanotte vuole davvero capire, il motivo quando non esiste ragione, a chi vuole scavarmi per cercare almeno il dolore, quando non si comprende il piacere. Ma nessuno m’aspetta, nessuno mi pensa neanche un povero scemo stupido gatto che mi dia la forza di tornarmene a casa, il coraggio di guardarmi riflesso nei pochi punti dove la notte ti offre uno specchio, dove ancora riesco a guardarmi, oltre la coltre di pelle e vestiti che mi fa solo inconsistente uomo mignotta. Neanche un cane, un moglie che mi urla, neanche un figlio perso che mi ruba gli ultimi spiccioli, le ultime gocce di questo sangue infetto, che m’alimenta soltanto pensieri cattivi. Scopro di nuovo il mio petto, perché gli sguardi degli altri ne facciano un vestito, ma più che nudo mi sento più spoglio, come un albero senza rami, come una notte senza stelle. Più che puttana una semplice uomo, che lavora e torna a casa e si offre, con l’unico intento di soddisfare un dovere. Qualcuno mi chiama e dice di amarmi a parole, ma le sole parole che sento, sono impresse nella memoria che purtroppo non scorda. Mi dice che s’affogherebbe nel mio petto, che di sicuro troverebbe la strada, se solo gli facessi un piccolo spazio. E’ carina, avrà gli anni di un figlio che non ha mai voluto. E’ discreta, per quanto possa essere discreta a quest’ora, una donna che si rivolge ad un uomo da solo, che poi non importa se è una presenza diversa un una strada piena di donne che vendono piacere e che anche lui sembra li che batte o fa finta, se sotto i pantaloni ci sono mutande, o un cuore strappato dal suo posto naturale. Che poi non importa se tra le gambe che appare è solo gonfio di fiatone e speranza, di tante illusioni che una notte come questa può ancora offrire. Che poi non importa se son davvero come una puttana, perché tanto non cambierebbe una virgola alle sue convinzioni, perché tanto non s’ammorbidirebbe d’un niente il suo sesso proteso. Immobile lo lascio parlare, lascio che la sua fantasia vada ben oltre, fino a vedere quello che sono, che a casa stanotte non m’aspetta nessuno, che sono tante le notti che aspetto davanti a questa pompa di benzina. Aspetto l’unica faccia a cui saprei dare un nome. Che fa benzina qui in questo posto, solitamente a quest’ora. Se dovesse apparisse vorrei dirgli che se non vado bene per marito mi prenda almeno per quello che appaio, senza per questo sentirsi in dovere, di chiamarmi per nome o di rinnegare quello che ora gli strappa i pensieri. Mi prenda per uno dei tanti, magari solo perché m’ha notato mentre faceva benzina, senza sentirsi in dovere di dirmi che sono il più bello, o magari giurarmi, mentre assaggia queste anonime labbra, che se non fossi come quelle puttane li di fronte sarei davvero un ottimo marito.

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